Un tuffo nel bidone dei ricordi, questo il nuovo dizionario delle cose perdute di Guccini, qualche sorriso, qualche rimpianto, ma un po’ di noia. Non quella piatta, terribile, devastante delle cantilene di Biagi, il camino con le caldarroste ed il pane fatto con le fascine dalla nonna, Francesco è quello della locomotiva ed allora le cabine telefoniche di una volta e le pezze al culo, per esempio, il tono è divertente, anche se la leggenda del selvaggio buono, è troppo cara alla sinistra e la sinistra troppo cara a Guccini per evitare un bel po’ di banalità. Il libro è piccolo, una ventina di episodi, brevi, e scorre via che è una bellezza, l’autore è uomo di mestiere con la penna, il suo stile si riconosce e, come detto, a volte rivivere alcuni episodi dell’adolescenza induce al sorriso. Alcuni fatti poi sono straordinari, vedi Ticozzelli, ciclista nel giro negli anni venti, famoso per partire con sprint straordinari per arrivare subito alla prima osteria per vedere gli altri passare. Ultimo per scelta, lo slow food quando il cibo era risorsa rara, e non dipendeva dalla velocità. Ma il limite è il tono un po’ paternale, un debito dell’autore con le sue radici, tanto decantate da essersi trasformate in un peso, tipico della sua generazione e della gente dell’Emilia. Comunque rimane un libro gradevole che si legge in un’oretta. ( )