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Entrevista com a História de Oriana Fallaci
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Entrevista com a História (1974 original; edició 1975)

de Oriana Fallaci

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320980,910 (3.99)3
A journalist's portraits of power and dissent around the world.
Membre:Missionaria
Títol:Entrevista com a História
Autors:Oriana Fallaci
Informació:Círculo de Leitores, Lda
Col·leccions:Ensaios e Crónicas
Valoració:
Etiquetes:C5

Informació de l'obra

Interview with History de Oriana Fallaci (1974)

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Ogni tanto c’è necessità di rispolverare un libro già letto nel passato, magari per rifare mente locale su ciò che è già accaduto e che, ancora oggi, influenza il nostro presente. E’ il caso di questo “Intervista con la storia” di Oriana Fallaci (Rizzoli, 1974, successivamente ristampato ed arricchito in numerose edizioni sino ai giorni nostri), che è qualcosa di più di semplice saggio sui potenti della terra di quell’epoca: è un raffinato esercizio di quel giornalismo di contatto fatto su campo, un testo di riferimento per chi ama la geopolitica, un compendio storico su eventi che hanno cambiato la percezione del mondo e un condensato di relazioni umane che non ha eguali.

Come e perché Oriana Fallaci sia diventata nel corso della sua carriera la giornalista italiana più influente e controversa del XX secolo lo si comprende bene in questo lavoro, in cui ella
condensa ed esprime una condanna senza appello all’assolutismo politico, al culto della personalità finalizzata al potere di vita o di morte, allo stato in cui a governare sono le armi. Usa qui le lente di ingrandimento dell’intervista, del faccia a faccia, del “botta e risposta” per indagare su quegli accadimenti della storia dell’umanità, eventi che si ripetono tristemente con una ciclicità da far paura, nei quali in tanti subiscono le persecuzioni di pochi, periscono nel degrado della dignità e del corpo attraverso scelte dei potenti di turno, sopportano il peso immane del delirio di onnipotenza chi chi si è autoconvinto di agire per volontà divina.

Il volume raccoglie diciotto interviste che la Fallaci realizzò all’inizio degli anni Settanta, introducendo ogni “personalità” (prima edizione del 1974, le edizioni successive ampliano il numero delle interviste). Ogni intervista è anticipata da un brevissimo excursus teso ad illustrare un contesto geopolitico e sociale, condito da un riassunto sull'esperienza dell’incontro che, pur non nascondendo mai la personale impressione della Fallaci giornalista, donna ed essere umano, non vuole però imporci il suo giudizio, ma solo predisporci alle domande, certamente non sempre comode o neutrali, così come alle risposte dei suoi interlocutori, su cui ci è chiesto di riflettere con grande attenzione. Va da sé che, nel corso della lettura, non schierarsi risulta difficile.

Cronista di guerra, abituata a scavare nelle notizie, la giornalista Fallaci ha coraggio da vendere. Si è temprata al fronte, più d’uno. Nel 1967 divenne la prima corrispondente di guerra donna e da allora ha viaggiato in Vietnam dodici volte in ben sette anni firmando per L'Europeo. E ora è decisa a voler rendere quella raffica di pallottole che l’avevano raggiunta durante la cronaca della repressione militare in Sudamerica attraverso la sua penna. Lei colpisce con le parole e con i punti interrogativi che pone alla fine delle domande. Ci porta dentro il grande conflitto del Vietnam con le interviste all’americano Henry Kissinger, il grande burattinaio della diplomazia a stelle e strisce ancora in doppiopetto imperialista; a Nguen Van Thieu ed al generale Giap, gli opposti del Vietnam bipolare e diviso tra nord e sud; senza dimenticare il quarto giocatore al tavolo delle carte, il cambogiano Norodom Sihanuk, a completare il banco in cui le puntate, all’epoca, costavano centinaia di vite ogni giorno. Da sottolineare che, nel corso della sua carriera, la Fallaci è stata tanto critica nei confronti dell'invasione statunitense, quanto sulle azioni poste in essere dal Fronte Nazionale per la Liberazione dei Vietcong.

A rileggerlo oggi “Intervista con la storia”, in questo inizio di 2024, sembra di grande attualità e ci riporta alle origini del conflitto arabo palestinese israeliano attraverso le interviste a personaggi intransigenti come Golda Meir e Yassir Arafat, ma anche e soprattutto al capo del Fronte Palestinese, George Habash, regista del terrorismo palestinese internazionale di quegli anni, caratterizzato da attentati in aeroporti e dirottamenti. Non manca, anche in questo scacchiere mediorientale, un quarto giocatore a cui di carte ne sono rimaste poche: re Hussein di Giordania. Oriana Fallaci ci offre in tal modo una spettacolare ed unica visione panoramica, ci permette di farci un’idea, di elaborare un pensiero. Non perde mai la sua lucidità nel porre le domande, governa le risposte, ribatte, non si lascia sedurre dalla diplomazia, tantomeno dall’autorità o dalla notorietà di chi le sta di fronte. Non finge di esserlo quando ne è infastidita. Gioca abilmente con il suo sapere, con la conoscenza dei fatti, obbligando talvolta due intervistati allo stesso tavolo da gioco ad un confronto a distanza di cui lei è la regista occulta. Sorprende, nella lettura, che talvolta emerga prepotente, nonostante un giudizio morale già scritto nelle idee che la Fallaci non ha mai nascosto attraverso i sui articoli o i suoi libri, il desiderio di non accontentarsi di ciò che già si conosce, ma di voler comprendere ancora meglio i fatti e le motivazioni che stanno alla base degli eventi, ancor più quando quei fatti trovano il loro humus nel desiderio di potere dell’uomo.

C’è, in questo libro, anche un grande spazio fisico che corre dalle sponde del Mediterraneo sino al subcontinente indiano, passando per la Persia. Lo si percepisce quando l’autrice affronta Indira Gandhi (lasciandoci anche scoprire che il cognome non la imparenta al Mahatma, pur essendo stata molto vicina allo stesso, essendo lei la figlia di Paṇḍit Jawaharlal Nehru) e il pakistano Alì Bhutto, poli opposti del conflitto fratricida tra India, Pakistan e Bangladesh. Qui domande e risposte ci illuminano su quanto la religione possa offrire un pretesto per influenzare pesantemente la vita di milioni di persone, rendendole sacrificabili, immolabili quasi sull’altare di un dio che, ancora una volta, si chiama “potere”. E in questo scenario a tinte fosche, ancora una volta emerge l’umanità della Fallaci che, pur severamente critica innanzi a posizioni radicali e illogiche dei leader con cui parla, non nasconde, se accade, i sentimenti di simpatia verso la persona spogliata dal ruolo che impersona e riletta in quello familiare, affettivo, umano.

Ed è in tal modo che ci passano innanzi Bandaranaike, Willy Brandt (quasi a immaginare ciò che poi sarebbe accaduto con il muro di Berlino), Helder Camara, il greco Panagulis, con un posticino anche per due indimenticabili protagonisti della politica italiana: Pietro Nenni e Giovanni Leone. Sull’edizione del 1977 di questo libro va aperta una parentesi e nemmeno tanto piccola. Innanzi tutto perché alle interviste già presenti nell’edizione di prima mano si aggiungono una decina di nuovi ritratti, interessanti personalità della scena internazionale: Giulio Andreotti (e solo questa intervista è tutto un programma), Giorgio Amendola, l’Arcivescovo Makarios, William Colby, il capo della CIA, e il suo antagonista storico Otis Pike che fu capo pure lui, ma di una commissione d'inchiesta chiamata ad investigare proprio sull'operato della CIA. E poi Santiago Carrillo politico e scrittore spagnolo, segretario del Partito Comunista di Spagna (PCE) dal 1960 al 1982); l portoghesi Alvaro Cunhal e Mario Soares, protagonisti politici del paese lusitano; lo sceicco Ahmed Zaki Yamani importante pilastro per un quarto di secolo dell’OPEC, oltre che Ministro del Petrolio e delle risorse minerarie dell’Arabia Saudita dal 1962 al 1986 .

Come molti dei grandi personaggi e protagonisti della storia intervistati dalla Fallaci, anche Yamani fu combattuto tra il farsi intervistare da una giornalista di quel calibro e che non faceva certo segreto delle sue idee ed il rifiutare perentoriamente il faccia a faccia, o sarebbe meglio dire il botta e risposta. Dopo averci riflettuto, tuttavia, egli invitò la Fallaci a casa sua, a Gedda, ricevendola con grande cortesia e presentandole anche la moglie Taman e le sue figlie. “Volevate il denaro e l'avete avuto: rovinandoci. Ma dove finiscono quelle migliaia di miliardi? Dove? Io vedo molti orologi d'oro nelle vostre vetrine e accendini d'oro, anelli d'oro, vedo grosse automobili per le vostre strade, ma non vedo case, non vedo vere città.” Il tono non è quello di un’intervista facile, ma ancora una volta Oriana Fallaci, pur cercando di sottolineare una posizione distante dal potere che vuole decidere per tutti gli altri, ottiene dal suo interlocutore un quadro completo e organico della situazione petrolifera dell'epoca, che già anticipava scenari futuri con una chiara la strategia dell'Arabia Saudita negli anni a venire.

La Fallaci, in prefazione della nuova edizione del suo libro è molto chiara nell’ammettere che “con gli anni, il giudizio su un incontro o su un personaggio si allarga e si approfondisce”, ma è altrettanto lapidaria nell’affermare che si fosse fatta prendere dalla tentazione di commentarli con la visuale del tempo essi avrebbero perduto il loro valore “di documenti cristallizzati nell’attimo in cui li vissi e li presentai”. Fa eccezione la sola introduzione all’intervista con Alexandros Panagulis, non tanto, specifica l’autrice, perche Alekos (moderno eroe e mito del rivoluzionario ellenico) fu compagno di vita di Oriana, quanto perché ella ritiene importante far sapere ai lettori cosa accadde di lui e denunciare con forza il potere: Panagulis, protagonista anche del romanzo “Un uomo”, morì nel 1976 in circostanze poco chiare in un misterioso incidente stradale, mentre stava indagando sui rapporti segreti intrattenuti da alcuni membri del governo con i militari del regime.

In alcuni casi, va sottolineato, le domande sono di gran lunga più interessanti delle risposte, soprattutto quando rivolte a personaggi cui il potere, è proprio il caso di dirlo, ha “dato alla testa”. Cito un Ailè Selassiè che risponde alla Fallaci come se fosse uno dei profeti mandati sulla terra dal Signore per rendere felici gli uomini del loro gretto destino ed un tristissimo e sospettoso Mohammad Reza Pahalavi le cui risposte, anche a chi di storia o geopolitica sa poco, già davano l’idea del destino cui la Persia, il rubinetto americano del petrolio, sarebbe andata incontro con la rivoluzione khomeinista.

Pochi giornalisti italiani vantano la capacità di Oriana Fallaci di porsi a muso duro innanzi alla propaganda di potere. Pochi hanno saputo gestire in modo così abile la capacità di essere insidiosi, irriverenti, a tratti irrispettosi, ma al contempo di costruirsi l’immagine di donna e professionista autorevole e colta, al punto da essere richiesta dagli stessi potenti della terra che ha intervistato. Un paradosso che esonda copiosamente dalle pagine di questo “Intervista con la storia”. Un libro che va letto per capire quanto sia mutato oggi il rapporto della stampa con il potere nell’epoca dell’intelligenza artificiale e dei social. E di quanto sarebbe illuminante poter leggere oggi le interviste di Oriana in presa diretta fatte a Putin, Zełenski, Netanyahu, Yahya Sinwar, Biden, Trump, Kim Jong-il.

Il messaggio nascosto tra le righe di “Intervista con la storia” è conoscere, pensare, riflettere e, se necessario, disubbidire alla legge del silenzio, opporsi al consenso di ogni monocrazia che vieta il pensiero razionale. Senza per questo abbandonarsi al caos o fare ricorso ad una società anarchica priva di governo, ma guardando alla nostra storia per non replicare gli errori già fatti e dare spazio alla ragione, unica arma efficace contro ogni forma di dispotismo. ( )
  Sagitta61 | Mar 12, 2024 |
Ogni tanto c’è necessità di rispolverare un libro già letto nel passato, magari per rifare mente locale su ciò che è già accaduto e che, ancora oggi, influenza il nostro presente. E’ il caso di questo “Intervista con la storia” di Oriana Fallaci (Rizzoli, 1974, successivamente ristampato ed arricchito in numerose edizioni sino ai giorni nostri), che è qualcosa di più di semplice saggio sui potenti della terra di quell’epoca: è un raffinato esercizio di quel giornalismo di contatto fatto su campo, un testo di riferimento per chi ama la geopolitica, un compendio storico su eventi che hanno cambiato la percezione del mondo e un condensato di relazioni umane che non ha eguali.

Come e perché Oriana Fallaci sia diventata nel corso della sua carriera la giornalista italiana più influente e controversa del XX secolo lo si comprende bene in questo lavoro, in cui ella
condensa ed esprime una condanna senza appello all’assolutismo politico, al culto della personalità finalizzata al potere di vita o di morte, allo stato in cui a governare sono le armi. Usa qui le lente di ingrandimento dell’intervista, del faccia a faccia, del “botta e risposta” per indagare su quegli accadimenti della storia dell’umanità, eventi che si ripetono tristemente con una ciclicità da far paura, nei quali in tanti subiscono le persecuzioni di pochi, periscono nel degrado della dignità e del corpo attraverso scelte dei potenti di turno, sopportano il peso immane del delirio di onnipotenza chi chi si è autoconvinto di agire per volontà divina.

Il volume raccoglie diciotto interviste che la Fallaci realizzò all’inizio degli anni Settanta, introducendo ogni “personalità” (prima edizione del 1974, le edizioni successive ampliano il numero delle interviste). Ogni intervista è anticipata da un brevissimo excursus teso ad illustrare un contesto geopolitico e sociale, condito da un riassunto sull'esperienza dell’incontro che, pur non nascondendo mai la personale impressione della Fallaci giornalista, donna ed essere umano, non vuole però imporci il suo giudizio, ma solo predisporci alle domande, certamente non sempre comode o neutrali, così come alle risposte dei suoi interlocutori, su cui ci è chiesto di riflettere con grande attenzione. Va da sé che, nel corso della lettura, non schierarsi risulta difficile.

Cronista di guerra, abituata a scavare nelle notizie, la giornalista Fallaci ha coraggio da vendere. Si è temprata al fronte, più d’uno. Nel 1967 divenne la prima corrispondente di guerra donna e da allora ha viaggiato in Vietnam dodici volte in ben sette anni firmando per L'Europeo. E ora è decisa a voler rendere quella raffica di pallottole che l’avevano raggiunta durante la cronaca della repressione militare in Sudamerica attraverso la sua penna. Lei colpisce con le parole e con i punti interrogativi che pone alla fine delle domande. Ci porta dentro il grande conflitto del Vietnam con le interviste all’americano Henry Kissinger, il grande burattinaio della diplomazia a stelle e strisce ancora in doppiopetto imperialista; a Nguen Van Thieu ed al generale Giap, gli opposti del Vietnam bipolare e diviso tra nord e sud; senza dimenticare il quarto giocatore al tavolo delle carte, il cambogiano Norodom Sihanuk, a completare il banco in cui le puntate, all’epoca, costavano centinaia di vite ogni giorno. Da sottolineare che, nel corso della sua carriera, la Fallaci è stata tanto critica nei confronti dell'invasione statunitense, quanto sulle azioni poste in essere dal Fronte Nazionale per la Liberazione dei Vietcong.

A rileggerlo oggi “Intervista con la storia”, in questo inizio di 2024, sembra di grande attualità e ci riporta alle origini del conflitto arabo palestinese israeliano attraverso le interviste a personaggi intransigenti come Golda Meir e Yassir Arafat, ma anche e soprattutto al capo del Fronte Palestinese, George Habash, regista del terrorismo palestinese internazionale di quegli anni, caratterizzato da attentati in aeroporti e dirottamenti. Non manca, anche in questo scacchiere mediorientale, un quarto giocatore a cui di carte ne sono rimaste poche: re Hussein di Giordania. Oriana Fallaci ci offre in tal modo una spettacolare ed unica visione panoramica, ci permette di farci un’idea, di elaborare un pensiero. Non perde mai la sua lucidità nel porre le domande, governa le risposte, ribatte, non si lascia sedurre dalla diplomazia, tantomeno dall’autorità o dalla notorietà di chi le sta di fronte. Non finge di esserlo quando ne è infastidita. Gioca abilmente con il suo sapere, con la conoscenza dei fatti, obbligando talvolta due intervistati allo stesso tavolo da gioco ad un confronto a distanza di cui lei è la regista occulta. Sorprende, nella lettura, che talvolta emerga prepotente, nonostante un giudizio morale già scritto nelle idee che la Fallaci non ha mai nascosto attraverso i sui articoli o i suoi libri, il desiderio di non accontentarsi di ciò che già si conosce, ma di voler comprendere ancora meglio i fatti e le motivazioni che stanno alla base degli eventi, ancor più quando quei fatti trovano il loro humus nel desiderio di potere dell’uomo.

C’è, in questo libro, anche un grande spazio fisico che corre dalle sponde del Mediterraneo sino al subcontinente indiano, passando per la Persia. Lo si percepisce quando l’autrice affronta Indira Gandhi (lasciandoci anche scoprire che il cognome non la imparenta al Mahatma, pur essendo stata molto vicina allo stesso, essendo lei la figlia di Paṇḍit Jawaharlal Nehru) e il pakistano Alì Bhutto, poli opposti del conflitto fratricida tra India, Pakistan e Bangladesh. Qui domande e risposte ci illuminano su quanto la religione possa offrire un pretesto per influenzare pesantemente la vita di milioni di persone, rendendole sacrificabili, immolabili quasi sull’altare di un dio che, ancora una volta, si chiama “potere”. E in questo scenario a tinte fosche, ancora una volta emerge l’umanità della Fallaci che, pur severamente critica innanzi a posizioni radicali e illogiche dei leader con cui parla, non nasconde, se accade, i sentimenti di simpatia verso la persona spogliata dal ruolo che impersona e riletta in quello familiare, affettivo, umano.

Ed è in tal modo che ci passano innanzi Bandaranaike, Willy Brandt (quasi a immaginare ciò che poi sarebbe accaduto con il muro di Berlino), Helder Camara, il greco Panagulis, con un posticino anche per due indimenticabili protagonisti della politica italiana: Pietro Nenni e Giovanni Leone (se ne aggiungeranno altri nell’edizione successiva).

In alcuni casi, va sottolineato, le domande sono di gran lunga più interessanti delle risposte, soprattutto quando rivolte a personaggi cui il potere, è proprio il caso di dirlo, ha “dato alla testa”. Cito un Ailè Selassiè che risponde alla Fallaci come se fosse uno dei profeti mandati sulla terra dal Signore per rendere felici gli uomini del loro gretto destino ed un tristissimo e sospettoso Mohammad Reza Pahalavi le cui risposte, anche a chi di storia o geopolitica sa poco, già davano l’idea del destino cui la Persia, il rubinetto americano del petrolio, sarebbe andata incontro con la rivoluzione khomeinista.

Pochi giornalisti italiani vantano la capacità di Oriana Fallaci di porsi a muso duro innanzi alla propaganda di potere. Pochi hanno saputo gestire in modo così abile la capacità di essere insidiosi, irriverenti, a tratti irrispettosi, ma al contempo di costruirsi l’immagine di donna e professionista autorevole e colta, al punto da essere richiesta dagli stessi potenti della terra che ha intervistato. Un paradosso che esonda copiosamente dalle pagine di questo “Intervista con la storia”. Un libro che va letto per capire quanto sia mutato oggi il rapporto della stampa con il potere nell’epoca dell’intelligenza artificiale e dei social. E di quanto sarebbe illuminante poter leggere oggi le interviste di Oriana in presa diretta fatte a Putin, Zełenski, Netanyahu, Yahya Sinwar, Biden, Trump, Kim Jong-il.

Il messaggio nascosto tra le righe di “Intervista con la storia” è conoscere, pensare, riflettere e, se necessario, disubbidire alla legge del silenzio, opporsi al consenso di ogni monocrazia che vieta il pensiero razionale. Senza per questo abbandonarsi al caos o fare ricorso ad una società anarchica priva di governo, ma guardando alla nostra storia per non replicare gli errori già fatti e dare spazio alla ragione, unica arma efficace contro ogni forma di dispotismo. ( )
  Sagitta61 | Feb 4, 2024 |
By chance this book fell into my hands again after many many years. The names of the persons Oriana Fallaci interviewed 1970-74, names I encountered once daily in the papers, may mean little to todays young generation, but these persons helped to shape then the world to the better or the worse. The spirit in which O.F.conducts the interviews follows what she writes about herself: I have always looked on disobedience towards the oppressive as the only way to use the miracle of having been born.

Kissinger: O.F. describes him as an ‘icy man’ and the ‘reincarnation of Metternich - an individual who depends only on himself to arrange matters in secrecy, absolutism and ignorance of people not yet awakened to the discovery of their rights’ , who run the Nixon presidency and who sees himself as „the cowboy who rides all alone into the town“ (Nixon didn’t like that!) and who, O.F. says, shows his esteem and friendship only for the countries ruled by some form of fascism.’
Willy Brandt on socialism (229): „a way of combining freedom and justice and solidarity in a commitment that never ends.“
Pietro Nenni on socialism (255): Nenni distinguishes between two types: (i) the communist kind has abolished private property but created a „barrack society“ without individual freedom and democratic life; (ii) the Swedish socialism has led to freedom, equality and democratic life to the highest level so far achieved but hasn’t broken capitalist ownership.
Dom Hélder Câmara on socialism (297): „My socialism is a special socialism, a socialism that respects the human person and goes back to the Gospels. My socialism is justice. […] What do I mean by justice? I mean a better distribution of goods, both on a national and international scale.“
Archbishop Makarios on socialism (327): „Among all social systems, it’s the closest […] to what Christian teaching should be.“

Alexandros Panagoulis, resistance fighter, poet and politician, who was subjected to years of torture and solitary imprisonment by the Greek junta: Kissinger himself denied him a visa to visit the US in spite of the intervention of senators and congressmen. (Kissinger again: he who ‘shakes hands with dictators and considers it „moral turpitude“ to fight them’!) (XI-21) 5* ( )
  MeisterPfriem | Dec 7, 2021 |
Esta obra es un testimonio imprescindible del siglo xx. Por un lado, porque es el único libro que permite acercarse al pensamiento y a la intimidad de los líderes mundiales que dieron forma al mundo en el que vivimos hoy. Por otro, porque es la gran obra, "a caballo entre el periodismo y la historia", de Oriana Fallaci. El rigor, el compromiso, la agudeza y el reconocido profesionalismo la hicieron la única periodista capaz de entrevistar con la misma determinación a los personajes más célebres. El prólogo mismo de este libro, de una validez y una potencia demoledoras, es una declaración de principios, tanto sobre la profesión periodística como sobre el poder.

Este libro, desde su aparición, reveló el coraje de la autora, su deseo de comprender el mundo y a los hombres, su estilo inconfundible, la fuerza de su escritura. Sin duda, se trata de una obra del todo vigente por su condena al poder, ya que es una invitación a la desobediencia y un himno apasionado a la libertad.

El libro incluye entrevistas a Henry Kissinger, Golda Meir, Yasser Arafat, Hussein de Jordania, Indira Gandhi, Giulio Andreotti, Willy Brandt, Hailé Selassié, Mohamed Reza Pahlevi, Mário Soares, Santiago Carrillo, Hélder Câmara y a muchos otros.
  MaEugenia | Aug 20, 2020 |
Non mi è facile descrivere questo libro. Ho letto le varie interviste un po’ alla volta. Alcune figure intervistate le ricordavo benissimo, altre mi sono tornate in mente mentre leggevo, alcune stimate dalla Fallaci, altre odiate, altre ridicolizzate. La storia politica degli anni ’60 e ’70: mi tornano in mente i telegiornali dell’epoca, quando notizie sconvolgenti venivano lette con un tono di voce tranquillo, al contrario di ora che tutte le notizie vengono sparate con tono ansiogeno, comprese quelle sui menù dei pranzi di Natale. Mi ha fatto tornare in mente la sigla di “La meglio gioventù” dove si vedono scorrere le istantanee di quegli anni: Kissinger, Golda Meir, Arafat, Hussein di Giordania, Indira Gandhi, Willy Brandt, Reza Pahlavi, Pietro Nenni, il generale Giap e molti altri. Lei è una persona straordinaria, di una irruenza e una energia incredibili. Peccato che nei suoi ultimi anni, probabilmente a causa della malattia, abbia assunto i toni di una casalinga isterica. Io comunque la voglio ricordare dura e pura, come i politici del dopoguerra, una persona per la quale la vita è stata l’occasione per fare qualcosa di unico e di grande. ( )
1 vota SergioPerkunas | Apr 10, 2013 |
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