Il Paz, il grande Paz, un’icona non solo del fumetto italiano degli anni 70, ma della cultura alternativa che si è alimentata e si alimenta di quel grande movimento da cui nacquero il Male e Frigidaire. In questo albo viene proposto un intelligente campionario del lavoro di Pazienza, partendo dalle straordinarie avventure di Pentothal, passando per alcune storie brevi autoconclusive, come la proprietà transitiva dell’uguaglianza, pacco e verde matematico, e concludendo con le splendide strisce dedicate a Pertini. Il tratto e la sceneggiatura di Pazienza rappresentano una rottura con il fumetto tradizionale italiano, che va visto alla luce dell’analogo lavoro svolto con Tanino Liberatore e Stefano Tamburini in occasione della produzione di Ranx Xerox. La morte prematura di Pazienza ha contribuito a collocarlo in una sfera quasi mitologica per il suo ristretto, ma agguerrito, clan di sostenitori. Personalmente riconosco le capacità di innovazione in termini di messaggio, ma onestamente non è il mio autore di quei prolificissimi anni.

Recensione del 29 ottobre 2009
Sulla quarta di copertina c’è Pazienza, mani in tasca, sguardo alla Finardi, che dice: “diciotto anni, puah!”. Il disprezzo della vita, degli stessi diciotto anni, hanno portato il Zac, mitico, ad un overdose di eroina. Anni 32. Indubbiamente il genio di Pazienza, la capacità di inventiva è mostruosa. La classe si vede, si riconosce quando si leggono le sue riflessioni. Pazienza è un genio. Il suo fumetto a volte, a me non incanta. Certo stupisce, a volte emoziona, ma non riesce mai a darmi un senso compiuto. Vola alto, altissimo, Pazienza per raccontare il 77, il disagio, le droghe, la vita. Ma non lascia mai, perlomeno per me, un segno indelebile. Ma la classe c’è, c’è tutta e si vede nella storia di Pertini, dove lui fa la spalla. Certo avrebbe avuto bisogno di più tempo. Ma questa è un’altra storia. ( )